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Domani Parigi.

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Si riparte, per 5 giorni circa.
Speriamo sia un viaggio rigenerante.
E la mente rivolta a 2 anni fa, a quei momenti in cui tu c'eri.

Ciao, mamma.

Le vite degli altri. La vita mia.

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Il primo è il titolo di uno dei film più intensi e più devastanti che abbiamo mai visto.
Il secondo è il titolo di un film, del mio film, che ogni mattina riavvolgo daccapo senza trovarne mai il finale. Macché, non dico il finale, non arrivo al momento della svolta, a quello che quelli bravi chiamano spannung.
Momento di massima tensione. Tensione intesa come svolta? No, la mia è solo e semplicemente tensione. Come quella di oggi. Come quella respirata lungo quest'ultimo maledetto weekend.

Ulrich si chiamava, quel fenomeno di attore, in cerca di un'anima.

Ciao, mamma.

Portami lontano da qui.

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Mi ha molto colpito la storia di Robert Enke.
Robert Enke era un portiere.
Robert Enke era un padre.
Robert Enke era un marito.
Robert Enke era una persona evidentemente fragile.
Robert Enke aveva degli occhi che ti scavavano dentro.
Robert Enke ha perso una figlia di due anni, per un problema cardiaco.
Robert Enke non ha resistito.

Che fine farà la sua anima ora?
Come "risponde" la mia fede, la mia ricerca, alla sua scelta?
Come risponderà il Dio in cui credo?

Se puoi vederlo, se è per caso arrivato dalle tue parti, abbraccialo da parte mia.

Ciao, mamma.

L'arrivo. Il segnale?

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C'è stata una cosa che tu hai voluto curare fino all'ultimo, per cui tu hai dato tutta te stessa, fino all'ultimo. Soffrivi quando non riuscivi ad essere presente, ad aiutare, a poter trasmettere la tua umanità ai bimbi. Il tuo obiettivo, obiettivo per cui avevi ripreso a studiare dopo diversi decenni, era quello di poter un domani, aprire un piccolo asilo nido a casa. Vivevi per i bambini.

E all'asilo di Volpino tu ci andavi sempre, anche durante i periodi di terapia, tu dicevi che i bambini erano la tua "anti-chemio". Mai una parola fuori posto, riuscivi a tenere incollati a te tutti i bambini, anche nei giorni in cui erano più irrequieti. Eri punto di riferimento per le più giovani colleghe, che vedevano in te un esempio "vissuto" di maternità, di accoglienza, di positività.

Dopo il 30 maggio 2008 anche la scuola materna ha subito il contraccolpo. Manchi terribilmente.
E la cosa è così ingiusta e più ci penso più mi fa male.

Ma non scrivo per piangermi addosso, almeno, stavolta no.

Ogni tanto passavo anche io per l'asilo, per portare carte dal Comune o anche solo per un saluto. E ti vedevo perfettamente a tuo agio, muoverti tra i bimbi, orgogliosa del servizio (che servizio era a tutti gli effetti) che ti vedeva protagonista umile ma necessaria. E c'era un bimbo in particolare che era sempre vicino a te, che ti chiamava "mamma". E ogni volta che passavo dall'asilo lo vedevo con te, perché lui chiedeva di te. E tu diverse volte gli dicevi: "ecco, questo invece è Umberto, il mio bambino grande"..e lui quasi geloso, a difficoltà mi guardava o mi dava la manina, sebbene io fossi ben disposto nei suoi confronti..

Poi, dopo il 30 maggio, sono passato solo un'altra manciata di volte all'asilo, per vari motivi, anzitutto perché mancavano le occasioni e poi perché tornare lì mi metteva (e mi mette) sempre un pò in difficoltà, troppi ricordi si materializzano.

Ma in una di quelle rare volte in cui sono passato, la prima volta dopo il 30 maggio, è successo qualcosa di veramente strano.

Saluto le maestre e sto per uscire dal cancelletto. Tutti i bambini sono in giardino a giocare. E tu sai bene come siano concentrati i bambini che stanno giocando. Il loro unico obiettivo è quello, giocare. Eppure un bambino si alza, abbandona il suo gioco, mi viene incontro, mi chiede di abbassarmi e mi bacia sulla guancia. Io chiedo alle maestre se fossero state loro a dirgli di compiere quel gesto ma loro mi assicurano che nessuna di loro lo aveva fatto.
Quel bambino era il TUO bambino, il bambino che tu preferivi, il bambino che ti preferiva, il bambino che ti chiamava mamma.

Perché è successo?
Cosa lo ha spinto a venire da me, dopo che in tutti gli altri momenti non si era MAI avvicinato a me, anzi, mi guardava con diffidenza?
Che abbia interpretato, pur nella sua età, la mia sofferenza, volendola lenire con un semplice gesto d'affetto?
Che sia stato solamente un caso?

Non lo saprò mai.

Dico solo che mi piace pensare che sia stata TU a indicargli la strada verso di me, a guidarlo a me, a invitarlo a darmi un bacio sulla guancia come se volesse dirmi "va tutto bene, stai tranquillo Umberto, state tranquilli..io sono arrivata dove un giorno verrete anche voi. Ora sto bene, ora mi godo l'infinito, ma vi tengo nel cuore e veglierò su di voi".

Quanto mi pesa questo "non sapere". Quanto mi pesa non avere la certezza che era questo il senso di quel gesto.
Posso solo aggrapparmi alla fede e agli occhi di quel bimbetto che nell'estate scorsa ha provato a farmi sognare in un miracolo. Che forse miracolo è stato.

Ciao, mamma.